In pochi sono a conoscenza del fatto che il
mondo della cosmesi sia interessato da una procedura che prevede l’obbligo di testare sugli animali ogni
singolo ingrediente utilizzato per la formulazione dei prodotti di cosmesi e di
bellezza. La questione della sperimentazione preventiva, che la legge impone
per immettere in commercio un qualsiasi prodotto cosmetico, è una materia molto
più complessa di quanto possa apparentemente sembrare. Fondamentalmente, il
motivo per il quale le case di cosmetici sono sempre alla frenetica ricerca di
nuove formule, va ricondotto ad una mera tattica di marketing: soltanto grazie ad un “nuovo” ingrediente
si può lanciare sul mercato e pubblicizzare un “nuovo” prodotto. Sul
mercato già esistono 15.000 sostanze
disponibili, già pronte, collaudate e sicure, da poter utilizzare.
Questo basta a farsi un’idea di quanto sia immorale da parte di molte aziende
nell’insistere a voler proporre ingredienti sempre nuovi, incrementando la
vivisezione, quando già ne esiste una gamma così vasta. Grazie a dure battaglie ancora in corso, la normativa che regola
la sperimentazione animale ad uso cosmetico si sta lentamente evolvendo verso
metodologie alternative eticamente più accettabili e validate (mentre i test sugli animali non lo sono mai
stati dal punto di vista scientifico). A partire dal 2004 è entrata in vigore
la legge che impedisce di testare il prodotto finito sugli animali, mentre
dall’11 marzo 2009 (D. Lgs. 50/2005 che recepisce la Direttiva CE 2003/15),
sono vietati per legge alcuni test invasivi e mortali, sebbene ne rimangano di
3 tipi: quelli relativi alla tossicocinetica, che studiano quanto una sostanza riesca a penetrare in
profondità e che tipo di effetto provochi sugli organi interni, quelli relativi
alla tossicità riproduttiva, per
i quali si somministra una sostanza ad un animale in gravidanza e se ne
studia l'effetto sulla prole e infine quelli relativi alla tossicità a
piccole dosi, che prevedono la somministrazione di una piccola dose di un
ingrediente chimico per tutta la vita dell’animale fino alla morte, oltre poi
ad una lunga serie di sottotest tutti invasi e mortali tuttora esistenti.
Purtroppo, questi tre tipi di test
rimangono in vigore ancora fino al 2013, ma il rischio che quest’ultima data
possa slittare al 2019 è purtroppo un’ipotesi realistica, in quanto i metodi
alternativi non sono ancora stati messi a punto. Il bando completo previsto per
il 2013 è subordinato alla validazione di tutti i metodi alternativi necessari,
i quali hanno degli iter di approvazione estremamente lunghi e laboriosi. Certo
è che maggiore sarà la pressione da parte di tutti a mantenere questa data e a
non volere acquistare cosmetici con ingredienti testati su animali, maggiore
sarà la possibilità di sviluppare più in fretta tali metodi alternativi. Sembra
effettivamente che la Commissione e il Parlamento Europei si stiano muovendo
proprio per posticipare questa data: la motivazione è, appunto, che i metodi
alternativi non sono ancora stati validati. Il dossier pubblicato il 13 settembre 2011 dalla Commissione Europea
spiega proprio che questi test ad oggi siano solo parzialmente
coperti da metodi alternativi convalidati, pertanto permangono ancora
delle aree grigie per le quali dei metodi legalmente validi non esistano. Negli
ultimi 20 anni l'Unione Europea ha erogato ben 200 milioni di euro di
contributi per lo sviluppo di tali metodi alternativi. Questa battaglia è
importante in quanto molti test
impiegati per la cosmetica sono i medesimi usati per la farmacologia (ad es. i test di tossicocinetica). Oltre all'ECVAM (istituto europeo per la
convalida dei metodi alternativi), nel 2005 è stata creata la Partnership
Europea per gli Approcci Alternativi ai test
su Animali (EPAA), che riunisce
la Commissione Europea e varie federazioni dell'industria e del commercio. Sono
state inoltre stabilite partnership
con gli USA, il Giappone e il Canada, che hanno portato alla Cooperazione
Internazionale sui Test Alternativi (ICATM). Tuttavia, per il momento l’unico dato certo è che migliaia di
conigli, cavie, topi continueranno a soffrire, subire iniezioni, bruciature e
torture per testare prodotti cosmetici. Perciò dietro la composizione di tutti
i rossetti, i mascara, i blush, le creme,
i detergenti e in generale i prodotti per la cura del corpo che troviamo negli
espositori, si nascondono una serie di test
di laboratorio su animali, test che
in teoria (ma non in pratica) dovrebbero essere finalizzati ad identificare i
potenziali effetti negativi delle specifiche sostanze chimiche. I malcapitati, in ambito cosmetico,
sono in genere i conigli, ma anche i topi e i cani, sottoposti a trattamenti
molto crudeli spesso in assenza di anestesia, a volte non prevista dal
protocollo della sperimentazione e a volte per negligenza del vivisettore
stesso. Solitamente, la sostanza viene applicata in dosi altamente concentrate,
direttamente sulla superficie oculare dei conigli (Draize Test oculare),
oppure sulla pelle (Draize Test cutaneo) dopo che questa
è stata abrasa al vivo. La LAV
(Lega Anti Vivisezione), nasce a sostegno della tesi secondo la quale i test di cosmetici sugli animali siano
del tutto inutili, in quanto non offrono alcuna garanzia di sicurezza. Difatti,
i metodi di trasposizione dei risultati
dei test sull’uomo, con relativi
tentativi di predirne gli effetti sulla specie umana, sono assolutamente
rudimentali e approssimativi, quindi inaffidabili. L’unico risultato sicuro che
emerge da questi test è l’effetto che
la sostanza in questione produce sulla specie utilizzata, ma non su
altre specie (tanto meno su quella umana). Tra l’altro, i risultati dipendono
da età, sesso, specie utilizzata (addirittura i risultati cambiano utilizzando
diversi ceppi della stessa specie), dieta, stato di salute, stabulazione e
temperatura ambientale. Questo massacro
infinito di animali, che si consuma silenziosamente ogni giorni tra le pareti
dei laboratori delle case di cosmetici è pertanto inutile. L’unica
soluzione possibile onde evitare di acquistare prodotti testati su animali è
dirigersi verso prodotti “cruelty
free”. A volte l'etichetta apposta sul prodotto non ha alcun valore
(simboli vari del coniglietto, scritta "cruelty-free", ecc.),
perché si riferisce solamente al prodotto finito. L’unico simbolo garanzia che si tratti realmente di un prodotto “senza
crudeltà” è il Leaping Bunny (Logo
certificato Icea-Lav), gli altri sono assolutamente mendaci. Le etichette
varie, come simboli e diciture più o meno dettagliate che si trovano su
cosmetici e detersivi, non hanno
pertanto alcun valore per quanto concerne l'adesione allo Standard “NON TESTATO SU ANIMALI”. La
dicitura "Contro i test su
animali", "Non testato su animali", oppure il simbolo generico
del coniglietto (che non sia espressamente il sopracitato logo ICEA-LAV),
indicano che solo il prodotto finito non sia stato testato. Ciò che veramente
importa è che i singoli ingredienti che compongono il prodotto finito non siano
stati testati sugli animali. Se si
vuole andare sul sicuro, è opportuno acquistare soltanto i prodotti delle ditte
indicate nella lista delle case cosmetiche cruelty-free, consultabile all’indirizzo
internet www.consumoconsapevole.org
dove si trovano, oltre a marchi acquistabili presso le erboristerie, anche
altri rinvenibili nella grande distribuzione (Coop, I Provenzali, ecc.). La lista delle aziende "cruelty-free"
è compilata tenendo conto dell'adesione
allo Standard "senza
crudeltà" attraverso la certificazione LAV-ICEA, oppure dell'adesione allo stesso Standard attraverso l'associazione inglese Naturewatch, altrimenti tramite l'autocertificazione di rispetto dello stesso inviata
alla dott.ssa Antonella de Paola (autrice della "Guida ai prodotti non
testati su animali“). Tali ditte si impegnano a non introdurre nessuna nuova
sostanza nella formulazione della loro linea di prodotti. Ad oggi i test
di laboratorio avvengono ancora sui singoli “nuovi” ingredienti, ed è
proprio il test eseguito sul nuovo
ingrediente a essere la discriminante tra un prodotto definibile come "cruelty-free"
o meno. C’è da aggiungere che la definizione stessa di "cruelty-free"
è abbastanza opinabile di per sé: potremmo definire tali solo quelle ditte che
usano ingredienti della positive list (ingredienti presenti sul mercato
prima del 1976, anno in cui è entrato in vigore l'obbligo dei test su animali specifici per i
cosmetici), anche se ormai quasi nessuna azienda è in grado di soddisfare
questo criterio così stringente. Secondo lo Standard
Internazionale "Non testato su animali", si stabilisce che le
aziende non debbano testare su animali
il prodotto finito, né commissionare a terzi tali test del prodotto, non
testare i singoli ingredienti, né commissionare a terzi questi test. Inoltre, per gli ingredienti
acquistati già testati dai fornitori, l’azienda deve dichiarare che questi test siano avvenuti prima di un dato anno a sua
scelta, fissando una cosiddetta fixed cut-off date (ad esempio 1998), impegnandosi a non acquistare più ingredienti testati dopo
quell'anno. Tradotto in termini pratici, significa non utilizzare più
alcun ingrediente (chimico o di sintesi) nuovo, mentre possono essere impiegati
ingredienti completamente vegetali o anche di sintesi, ma che siano già in
commercio prima dell'anno prescelto. Soltanto così facendo, non si incrementa di fatto ulteriore
sperimentazione su animali. Ovviamente, anche gli ingredienti di questo
tipo di prodotti sono stati, in qualche momento del passato, provati su animali
(vale anche per quelli che usano ingredienti delle Positive List), ma di fatto sono da
considerarsi cruelty-free nel senso che non incrementano nuove
sperimentazioni. C’è da aggiungere anche la questione dell'eventuale
provenienza degli ingredienti usati, che qualora derivino da sfruttamento e
uccisione di animali, non possono comunque essere considerati cruelty-free. Ci si riferisce ad ingredienti come grassi animali,
gelatina animale, acido stearico, glicerina, collagene, placenta, muschio di
origine animale, latte, panna, siero di latte, uova, lanolina, miele, cera
d'api, ecc. Le ditte che aderiscono allo Standard,
per lo più evitano di utilizzare questo genere di ingredienti, quindi sono cruelty-free
anche sotto questo punto di vista (meglio controllare gli ingredienti prima dell'acquisto). Tutte le altre ditte
non sono da considerarsi "senza
crudeltà”, anche se riportano sulle confezioni dei propri
prodotti la dicitura "non testato su animali" o simili, almeno fin
quando non avranno dato conferma della propria politica aziendale con una delle
tre modalità già descritte.
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